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Fallimento e socio occulto: ecco come si pronuncia la Cassazione

I Giudici di legittimità si pronunciano a fronte della Sentenza della Corte di Appello di Palermo, che riteneva irrilevante «il difetto di prova della partecipazione agli utili e alle perdite, circostanza ritenuta ex sé non sufficiente ad escludere la qualità di socio occulto».

L’imprenditore, ricorre in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 147, comma 5, L.Fall., in relazione all’art. 2247 c.c., in quanto la Corte di merito avrebbe fondato la sua decisione su fatti che non dimostrerebbero la sua partecipazione agi utili e alle perdite, né la sua qualità di socio occulto.

I Giudici di legittimità, ritengono il ricorso fondato.

Nel caso di specie, emerge la qualità di socio “apparente” del ricorrente, ovvero di soggetto come tale ritenuto dai terzi.

La Corte di Cassazione ha già avuto modo di sottolineare che «l’esteriorizzazione del vincolo sociale – ossia l’idoneità della condotta ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza di una società – rilevante nei rapporti esterni ed idoneo a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell’art. 2297 c.c. e quindi anche ai fini della estensione del fallimento L. Fall., ex art. 1447» (Cass. n. 4529/2008 e n. 11491/2004), «è però fenomeno concettualmente distinto dall’esistenza di una società di fatto o irregolare, che nei rapporti interni richiede una rigorosa valutazione del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l’affectio societatis, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi» (Cass. n. 5961/2010, n. 8981/2016, n. 9604/2017, n. 27541/2019 e n. 896/2020).

La Suprema Corte ha, inoltre, chiarito da tempo che «al fine dell’applicazione dell’art. 147 della legge fallimentare, è sufficiente il riscontro, oltre che della situazione normale di una società che esista nella realtà e come tale operi nei rapporti con i terzi, anche delle situazioni anomale costituite dalla società meramente apparente nei confronti dei terzi, pure se inesistente, ma non esteriorizzata. Queste due ultime situazioni, peraltro, in relazione alla diversità di presupposti, si pongono su un piano alternativo. Ne consegue che l’estensione del fallimento di un imprenditore individuale ad altro soggetto, previo riscontro di una società di fatto, non può essere contraddittoriamente giustificata in base al contemporaneo accertamento, in detto soggetto, della qualità di socio apparente e di socio occulto» (Cass. civ. n. 1708/2981).

Pertanto si può serenamente concludere che l’art.147 della Legge Fallimentare può essere applicato qualora venga riscontrato che, oltre la situazione normale di una società che esista nella realtà ed operi nei rapporti con i terzi, anche nelle situazioni anomale costituite da società meramente apparente nei confronti dei terzi, pure se inesistente, ma non esteriorizzata.

Ne consegue che l’estensione del fallimento di un imprenditore individuale ad altro soggetto, previo riscontro di una società di fatto, non può essere contraddittoriamente giustificata in base al contemporaneo accertamento, in detto soggetto, della qualità di socio apparente e di socio occulto.

Cass. civ., sez. I, sent., 13 settembre 2021, n. 24633